I segreti del mare

Titolo: I Segreti del Mare

Autore: Raimondo Bucher

Editore: Centro Internazionale del Libro, Firenze

Anno di Pubblicazione: 1959

Genere: Racconti, Caccia Subacquea

Collana: Libri d’Arte Documentari

Note:

*Questo libro é presente nella Libreria di Morgan*

Dalla seconda di copertina:

Questo libro è dedicato ad un ardimentoso che lasciò la vita sui fondali marini. Di riflesso è dedicato a tutti i subacquei, che l’amore per l’avventura, per l’ignoto, per il meraviglioso, sospinge, ed esorta a varcare sempre più spesso le «colonne d’Ercole» di un mondo sommerso. Luci ed ombre, elegie e tragedie della vita sottomarina sono puntualmente descritte in queste pagine da un uomo, anzi, da un «pioniere», che allo sport subacqueo ha totalmente votato la propria esistenza. Bucher parla di sé, della sua vita nel mare; della buona e della mala ventura d’innumerevoli immersioni; degli incidenti occorsogli; degli attrezzi e degli strumenti da lui realizzati; della bellezza svelatasi alla sua temerarietà. Ma, così facendo, parla anche per tutti, a che ciascuno liberamente si valga delle sue dure esperienze e sappia come difendersi, in ogni istante, dalle sottili e mortali insidie del mare. L’immersione a 39 metri, gli squali del Mar Rosso, la cattura della Manta, l’esplorazione della grotta del Bue Marino sono altrettanti capitoli sospesi tra il dramma e la tragedia, dove lo stile quasi telegrafico, immune da ogni vezzo letterario, inserisce il lettore in mezzo alla scena, partecipe e testimone di quelle sconcertanti avventure. E questo libro, infine, è anche scritto per tutti coloro che conoscono il miracolo della vita sommersa. É come se Bucher li prendesse per mano per introdurli in un nuovo mondo. Di un mondo reale e fiabesco, vero ed inconsistente, tenebroso e luminoso, dove il bene ed il male, la vita e la morte, non hanno più senso.


Una citazione dalle pagg. 13,14:

“....La prima vera conoscenza con i fondali marini e con i suoi abitanti la feci in una calda giornata di agosto del 1942. Tra un volo di guerra e l’altro passavo sempre in mare le poche ore a mia disposizione; ma quel giorno, per la prima volta, applicai sul viso una maschera rudimentale, ricavata da una camera d’aria d’automobile, e presi in mano il fucile subacqueo. Quel contatto diretto con il mondo sommerso doveva significare una decisiva svolta nella mia vita. A quell’epoca i subacquei erano un numero esiguo (poco più di una decina nel golfo di Napoli) e si immergevano soltanto a pochi metri di profondità. Questo era già sufficiente per tornare a casa con panieri colmi di bella preda. Per le restrizioni della guerra che vietavano la pesca in genere, e soprattutto la pesca a strascico e con le lampare, il mare era insolitamente e straordinariamente ricco. I primi dolori di timpani ed ai seni frontali imposero il problema, non facile, di come eliminarli. Dodici, quattordici metri costituivano addirittura un primato, e per raggiungerli erano necessari molti allenamenti che terminavano spesso, se non sempre, con la rottura del timpano. A chi chiedere consiglio? Chi poteva sapere, allora, qualcosa di preciso sulla tecnica dell’immersione? Non restava che sperimentare da soli, passo a passo. I subacquei ⎯ o «i fanatici del mare» ⎯ erano forse invidiati per le prede che riuscivano a catturare, per il resto eran guardati come una sorta di autolesionisti che mettevano volutamente a repentaglio l’esistenza e la salute. Era anche assai raro, allora, un preciso interesse scientifico ai problemi dell’immersione; la maggior parte dei medici sconsigliavano nel modo più assoluto di immergersi oltre i cinque metri. Eppur le belle spigole, le orate, i dentici erano sempre qualche metro al di sotto, e soltanto il dolore poteva frenare l’impeto della caccia.”



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